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Piccolo Principe (2016) – Recensione

L’ESSENZIALE E’ INVISIBILE AGLI OCCHI!”

Cercare di trasferire in immagini un racconto che, in una delle sue parti più significative, sostiene che “L’essenziale è invisibile agli occhi”, potrebbe sembrare un’impresa destinata a fallire in partenza. Il capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry, oltre ad essere il libro in lingua francese più stampato di ogni tempo (tradotto in 253 lingue), è anche un tale concentrato di lettura a più livelli da essere difficilissimo da trattare se non col linguaggio della parola scritta. Romanzo di formazione, favola mistica, romanzo filosofico, romanzo allegorico e molto altro ancora: la potenza delle metafore riguardanti la condizione umana de Il Piccolo Principe è resa al massimo sulla carta. E in effetti gli esiti poco soddisfacenti delle trasposizioni cinematografiche del racconto, a partire da quella di Stanley Donen che osò far apparire i personaggi in carne e ossa, non deponevano a favore dell’impresa. In ogni caso, il sicuro mestiere del regista Mark Osborne (pur se in ambiti dell’animazione molto diversi, come Kung Fu Panda e Spongebob) e del suo team, composto da validissimi professionistiprovenienti dalle sigle che hanno dominato l’animazione negli ultimi vent’anni (Lou Romano, Bob Persichetti, anche sceneggiatore, Irene Brignull, Jason Boose), facevano ben sperare, come analizzato egregiamente nella preview dalla nostra Elisa. Il domandone era: avranno avuto abbastanza coraggio da rispettare l’originale pur nelle dinamiche dell’animazione odierna?

Con questo interrogativo mi sono seduto assieme ai miei amici, nella poltrona di un cinema in un pomeriggio sotto le feste; circondato, con un filo di perplessità, da torme di giovanissimi (e intendo proprio “issimi”) con tanto di genitori al seguito: d’accordo che Il Piccolo Principe parla al bambino ma, che io sapessi, al bambino dentro l’adulto.

Una bambina dalla vita programmata e irreggimentata allo scopo di “avere successo” da adulta, e la ansiogena e pedante madre si trasferiscono in un anonimo quartiere di una ancor più anonima città. A sconvolgere i piani della genitrice piomba un anziano e stravagante vicino con il quale la bambina oppressa stringe subito amicizia. Il vecchio inizia a raccontare una storia della sua gioventù, quando era un aviatore e un avventuriero, ed era precipitato col suo biplano nel bel mezzo del Deserto del Sahara. Qui aveva incontrato il Piccolo Principe, uno strano bambino che gli aveva raccontato una serie di avventure ancora più strane: la bambina si fa lentamente ossessionare dalla storia, fino al punto da sperimentare in prima persona una rivoluzione del suo modo di rapportarsi con la realtà.

Il film di animazione si dipana su due livelli ben distinti dal punto di vista stilistico, tecnico e narrativo. Il primo livello, che riguarda le vicende della bambina, della madre e dell’aviatore da vecchio fa uso della ormai classica animazione 3D, molto nutellosa sia nello stile che sul piano narrativo: è la parte che giustifica le torme di giovanissimi di cui sopra, e la classificazione come film di animazione per bambini, ormai assuefatti a decenni di narrazione Pixar-style. Di per sé, oltretutto, nemmeno così memorabile: la storia risulta piatta, dilatata e scialba, e l’intreccio, i ritmi e le battute “alla Pixar” non sorprendono più nemmeno i bambini stessi, che infatti partecipano, ridono, commentano e rumoreggiano molto meno di quanto farebbero se la storia li coinvolgesse davvero.

Ciò che salva e riscatta la pellicola, facendola diventare un buon film di animazione, è la parte che riguarda più strettamente il racconto dell’aviatore da giovane, e cioè le vicende narrate ne Il Piccolo Principe. In questo frangente va riconosciuto alla regia e agli autori di non essere caduti nella trappola di continuare con la CGI – che sarebbe stata davvero una scelta insensata – ma di aver ricercato una tecnica di animazione che avrebbe davvero potuto trasferire in immagini “L’essenziale invisibile”, individuandola nell’antica Stop Motion. La tecnica a passo uno consente non solo di illustrare la poesia del libro di Saint-Exupery, con la sua tridimensionalità eterea ma allo stesso tempo tangibile e con la sua stilizzazione, ma anche di poter ricalcare i disegni e lo stile degli immortali bozzetti dell’autore stesso, allegati al libro. Si ha quindi l’impressione che le parti in stop motion nascano direttamente dalle pagine del tomo, simbolici ma allo stesso tempo terribilmente concreti nella loro essenza cartacea, con la fotografia a luce reale delle scene che non fa altro che aumentare la carica metaforica del racconto. Una scelta tecnica e registica decisamente felice, che rende finalmente giustizia a quella parabola laica che è Il Piccolo Principe.

 

Il doppiaggio italiano appare all’altezza: Toni Servillo dà voce al vecchio aviatore e si stenta quasi a riconoscerlo, quindi missione ampiamente compiuta. Paola Cortellesi solida nell’interpretare la madre, ottimi Lorenzo d’Agata e Vittoria Bartolomei nei panni rispettivamente del Piccolo Principe e della Bambina. Bene alcuni comprimari, come Siani, Pif e Alessandro Gassmann; uniche note stonate la sopravvalutatissima Micaela Ramazzotti nei panni della Rosa (fare un corso di dizione serio, no? Amo Roma, ma non ne posso davvero più di sentire “Zole” al posto di “Sole” e l’accento borgataro pure nella rosa di una favola francese), e Stefano Accorsi, palesemente troppo impostato ed innamorato della sua voce come Volpe.

 

Tirando le somme, il messaggio dell’originale passa eccome (ed è anche il motivo di fondo dell’esistenza della nostra testata): il fantastico e l’immaginazione sono gli unici mezzi per giungere davvero all’essenza delle cose. I bambini lo sanno da sempre, noi appassionati adulti-bambini lo abbiamo capito di nuovo (e sarà per questo che a volte ci danno dei bambini? Motivo di orgoglio!): gli adulti-adulti che in sala si affannavano a “spiegare” il film ai figli lo avranno capito? E dire che Il Piccolo Principe è stato scritto principalmente per loro.

 

Gabriele

Big Boss delle Redheads Diaries: la mente che ha dato vita a questo sito di intrattenimento.